mercoledì 14 settembre 2011

Complotti, undici settembre e lacrime

Era un giorno di agosto del 2002.
Il piano prevedeva la visita a Ground Zero, così si chiamava il cantiere per la rimozione delle macerie del World Trade Center, distrutto nell'attacco dell'undici settembre.
Nei dintorni ancora spanne di polvere, mischiata a carta, bicchieri di caffè e scatole di panini. Mi stupì molto, questo sporco. Evidentemente non avevo molto realizzato cosa voleva dire sbriciolare oltre 200 solai di cemento, più tutte le altre torri.
Il complottismo undicisettembrino non era ancora nato, o muoveva allora i primi passi, lontano da me, così non presi praticamente fotografie del posto. Giusto un paio di panoramiche, ma diamine, non era passato ancora neanche un anno!!
Ricordo che in un angolo di Battery Park trovammo quello che si può definire il muro del pianto, ovvero dove i parenti dei dispersi negli attentati appendevano i fogli "missing" con la foto del padre, del fratello, o del figlio. Era sorprendentemente piccolo, così che i manifesti si sovrapponevano, quasi a rubarsi il posto, come a dover decidere se è peggio perdere un padre o un figlio, un fratello o la moglie.
Non ricordo di nessun incontro. Forse la stupidità dei 22 anni, oppure il vociare classico degli italiani in "gita" tennero lontani le persone.

Anni dopo, a dicembre 2008 sono tornato a New York. Stavolta con molto più studio alle spalle. Stavolta con le accuse dei complottisti nei confronti degli americani, e con la voglia di capire davvero, da vicino quello che era successo.
Da Jersey City, con una foto pre-11 settembre ho cercato di visualizzare le torri. Gigantesche, enormi effettivamente impossibili da non vedere, anche da distante.
Nella zona, meno cantieri, la polvere sparita, le strade più pulite. Girando intorno alla WTC plaza, nel freddo di quell'inverno, si incontra il memorial dell'11 settembre. Sono stati raccolti alcuni oggetti trovati tra le macerie. Un biglietto del PATH, come quello che avevo in tasca. Una metrocard. Un pugno di metallo, fatto di monete fuse. Quattro o cinque pistole, compattate nel cemento. La divisa e la bombola di ossigeno di un vigile del fuoco. Una gigantesca trave, contorta dalla pressione di altre gigantesche travi cascate da lassù. Un orsacchiotto di peluche, ancora pieno di polvere e con il vestito stracciato. E ancora, i fogli "missing". Stavolta come testimonianza più che come speranza, ma sempre raccolti in uno spazio piccolo, con la stessa impressione di qualche anno prima.

Altri due anni, settembre 2010. Nove anni dagli attentati. La torre uno, ex Freedom Tower, che verrà alta 1776 piedi (come l'anno della dichiarazione di indipendenza americana) è già alta 30 piani. Praticamente come il Pirellone, ma qui sembra un nano, vicino ai grattacieli del World Financial Center e della ex torre 7. La polemica oggi è se costruire o meno una moschea nella punta sud di Manhattan. Tra gli operai qualche maglietta "No mosque at Ground Zero". A fianco del memorial, dove ci stanno le stesse cose strazianti dell'anno prima, nell'attesa di aprire il memorial defiitivo (aperto quest'anno nel decennale), c'è una caserma dei vigili del fuoco, sede di due compagnie: NYFD Engine 10 e NYFD Ladder 10. All'ingresso un piccolo altare che ricorda un vigile del fuoco morto quel giorno. Uno dei 343 che sono morti nel crollo. Tutta la zona è un grosso cantiere, ovunque si trovano operai, e non ne vedi mezzo senza il casco, anche in pausa. Nonostante non faccia freddo, anzi.
Visitando il cimitero della cappella di Saint Paul, che è servita come supporto fisico e morale per chi lavorava nelle primissime ore a Ground Zero, non può non venirmi in mente il dolore delle migliaia di parenti dei morti al WTC di cui non si è trovato nulla. Chi è morto nell'impatto, chi carbonizzato poi, e chi invece non è riuscito ad oltrepassare l'inferno di fuoco presente ai piani alti del grattacielo.

Ai complottisti, a chi sostiene che i vigili del fuoco siano complici, a chi sostiene che se lo sono fatto da soli, un invito.
Andate a Ground Zero. Cercate il memorial, cercate le caserme dei vigili del fuoco. Guardate gli altari, guardate i foglietti "missing".
Poi ne riparliamo.

p.s.
Perché lacrime? Perché nonostante quel giorno non sia morto nessuno che conosco, ogni volta che sono stato a Ground Zero, le lacrime sono sgorgate. Ora discrete, ora meno, ma non sono mai riuscito a trattenerle...

1 commento:

Paolo ha detto...

Bellissimo racconto. E ti capisco sulla commozione del momento, io quasi piango a rivedere le immagini, soprattutto quelle delle persone che si buttano nel vuoto, e non sono mai stato a New York. Il problema dei complottisti undisettembrini è che se ne fregano delle vittime e dei superstiti che hanno dovuto prendere scelte difficili, solamente per il loro tornaconto economico e personale.